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Giacomo Verde Non Esiste?
Lo scorso maggio usciva Giacomo Verde non esiste, il film documentario di Gioele Gallo che ha provato a raccontare la vita e le visioni di Giacomo Verde — fratello, compagno, tecno-artista di strada e di rete, hacker di linguaggi e sabotatore di ogni posa istituzionale. In vita Giacomo ha mescolato arte, politica e tecnologia quando gli altri ancora giocavano coi telecomandi, faceva dell’imprevisto una strategia e del caos una forma d’amore. A pochi mesi dall’uscita del documentario, il LIGVA (Laboratorio Intergalattico Giacomo Verde Artivista), che ne custodisce l’eredità viva e indocile, ha pubblicato per voce di Luca Fani una recensione che scortica la patina pulita del film per rimettere al centro il conflitto, le crepe, e quel casino meraviglioso che era Giacomo.
RecensioneLa recensione di Luca Fani
Cosa resta di un artista che ha fatto del conflitto la sua grammatica, della partecipazione il suo linguaggio, dell’imprevisto la sua estetica? “Giacomo Verde non esiste”, film documentario di Gioele Gallo, tenta di rispondere a questa domanda, ma finisce per allontanarsene con passo misurato, sguardo educato e parole levigate. Il risultato è un’opera ben confezionata, commossa, pulita. Peccato non parli davvero di Giacomo Verde.
In tutto il documentario, il CAMeC e la retrospettiva del 2022 sono ripresi in mille e mille inquadrature. Eppure, sembra che in quel museo non sia successo nulla. Nessuna menzione della rottura nel gruppo curatoriale, che coinvolse proprio le tre anime fondative dell’opera di Verde: il video, il teatro e l’artivismo. Nessun accenno all’allontanamento forzato dei collettivi artivisti, né alla cancellazione della scritta Demilitarizzare La Spezia ordinata dall’amministrazione comunale. Nessuna traccia dell’azione di protesta compiuta da Alessandro Giannetti, storico compagno fraterno di Verde, che per quella scritta fatta col proprio sangue è stato poi denunciato e condannato con un decreto penale. Tutto questo viene ignorato. Eppure proprio quella lacerazione, quell’atto performativo e il conseguente cortocircuito istituzionale, raccontano meglio di qualsiasi altra cosa le contraddizioni radicali di Verde: artista che si muoveva dentro le istituzioni, ma che finiva spesso per prenderne le distanze.
Possibile che il documentario abbia scelto, o voluto, ignorare quella che era la cifra estetica e politica di tutta la sua vita? E possibile che in due anni di lavoro non sia mai venuto in mente agli autori di andare a indagare e a parlare con il collettivo di militanza poetica e politica Dadaboom, che ha accompagnato Giacomo Verde negli ultimi anni della sua esistenza, condividendo azioni, visioni, contraddizioni e malanni? Come mai? Troppo vivi? Troppo testimoni? Troppo scomodi? Oppure è più semplice costruire un Giacomo Verde immaginario, smussato, comodo, buono per tutte le stagioni? Un artista senza carne, senza urla, senza l’imprevisto.
Il film lo mette in scena come un maestro di teatro, ma gli nega, di fatto, l’ultimo palcoscenico e l’ultima compagnia. Un fantasma educato. Una voce fuori campo mai registrata. “Giacomo Verde non esiste” è un documentario che sa raccontare, ma non sa rischiare. Un film sulla libertà che ha paura del conflitto. Una carezza interrotta. Un archivio ordinato che dimentica il sangue.
E quindi ci resta il titolo, forse l’unico davvero onesto: Giacomo Verde non esiste. Infatti.
Luca Fani, Maggio 2025