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Volevamo salvare la Palestina
Report molto emotivo della mobilitazione per la Palestina 22/09-05/10/2025
Raccontare a parole quel che è stato quello spazio tempo che va dal 22 Settembre al 5 ottobre 2025 è cosa assai dura. Se ne potrebbero spender tante a raccontare gli entusiasmi e i dolori, le assemblee e i cortei, le acampade e i presidi permanenti, certo, ed ogni singolo attimo che è parso esser pieno di senso e destinato a non finire mai. Sarebbe sempre e comunque poca cosa e nulla vale una ricostruzione se vuol assumersi l’onere di sostituire l’esperienza.
Seguire l’ordine cronologico?
Il 22 di sciopero generale atteso ed imprevisto e poi i cortei, a raffica per giorni. Le tende in piazza, la protesta che monta e i numeri che moltiplicano, giorno dopo giorno, le vecchine con lo sformato, i bambini che disegnano, quel signore in giacca e cravatta dalle laute donazioni, gli studenti che preparano la verifica, i docenti che le correggono, i signori attempati dalla memoria lucida e l’entusiasmo appena maggiorenne, i raver col sound che celebra unione, femministe che fanno analisi con portuali, chi fa l’uncinetto, chi cucina, chi sta sveglio e copre il turno, ed il freddo, quasi in imbarazzo per il disturbo, sotto la luna, come la Digos, a domandarsi il perché. E poi i collegamenti con la flotta di mare, gli scambi, i sorrisi e le lacrime, tante lacrime versate insieme, come coperta che ammanta e unisce, scoprirsi fragili, insieme, e divenire per questo potentissime e inarrestabili. I cortei notturni e improvvisati, il dolore che diviene rabbia, la rabbia che si trasforma in forza e la forza che restituisce potenza, la potenza che libera. E ci si riscopre, ci si riconosce, si rinasce. Siamo chiunque e andiamo ovunque. La quantità, la quantità stupisce e meraviglia ma è la qualità che commuove. È una questione di qualità. E poi lo sciopero generale, di nuovo, come oroboro che torna ad inghiottirsi e rigenerarsi, così come si rigenerano le strade, il corteo. Migliaia di persone, chilometri di cortei, ore di blocchi, i principali viali, l’autostrada, il porto, la lunga fila di camion che suona a festa, ringraziano per il disagio. Blocchiamo, blocchiamo tutto. Si parte e si torna insieme, in città, tra fuochi d’artificio e il soundsystem, imponente come un sacerdote che ruggisce, e i muri, i vetri, le case intere che rispondono vibrando. I terrazzi, i sorrisi, le bandiere, “scendi giù” e quelli scendono, “unisciti” e si uniscono. È un corteo-pianta che si contrae per poi rigenerarsi, che esplode incontenibile al suono della tekno e di canzoni palestinesi che alternandosi scandiscono il tempo. Siamo marea e inondiamo. La testa conta almeno una decina di nazionalità diverse, ogni estrazione, ogni lavoro, ogni genere, ogni volto, scalpita, salta balla e si scatena: è la potenza del possibile che diventa reale. Il limite è il cielo. E si torna, Piazza Palestina Libera è bella come la rivoluzione e gli ultimi metri li facciamo a corsa perché questo tempo che abbiamo scelto di vivere vogliamo travolgerlo.
I concerti, la notte, è tempo di metabolizzare. Ma come si fa’? È alba, è mattina, è pranzo, si smonta, si và ma sempre, sempre senza interrompere il flusso che ha bisogno di pronunciare per confermare che si, è successo davvero, ne siamo testimoni-attori.
Nulla sarà più come prima, lo giuriamo, solennemente, come voto sacro, come somma adesione e i saluti incerti, gli sguardi di dubbio, le domande sospese scivolano a mare dilavate dal cielo che non ha potuto fare a meno di piangere.
E ora? Ora che frammenti di vita vissuta, di tempo liberato, di rivolta sacra schizzano nell’inchiostro di queste pagine, che aggiungere?
Volevamo salvare la Palestina, forse è la Palestina che sta salvando noi (?).
Queste poche righe riportano esperienze localizzabili nel territorio ligure apuano. Più in generale, però, restituiscono uno sguardo frammentato, uno schizzo, un’impressione che viene dalla provincia. Là dove nulla normalmente accade, la rottura della normalità genera sorprese e meraviglia, forse ancor più che nelle grandi città.
Ma cosa è stato quel magico lasso di tempo non ci è dato saperlo, almeno per ora, e risulta impossibile farne una cronaca od una fredda analisi. E va bene così; va molto bene cosi.